Gattari da legare: Analisi fenomenologica di una categoria sfuggente
Essere gattari è una questione seria: è un modo d’essere, una scelta di vita senza ritorno. Eppure, per essere una faccenda così definitiva, ha dei contorni alquanto labili. Chi è, il gattaro? Qual è la definizione più adatta per una categoria che, spesso, sfugge più dell’oggetto del suo culto?Una prima classificazione riguarda quelli che io […]
Essere gattari è una questione seria: è un modo d’essere, una scelta di vita senza ritorno. Eppure, per essere una faccenda così definitiva, ha dei contorni alquanto labili. Chi è, il gattaro? Qual è la definizione più adatta per una categoria che, spesso, sfugge più dell’oggetto del suo culto?
Una prima classificazione riguarda quelli che io definisco di tipo A: persone che si prendono cura di una colonia, offrendo cibo, cure e riparo ai gatti. Il gattaro di tipo A ha solitamente anche dei gatti residenti nella propria abitazione. Sono gatti che vengono dalla condizione di randagi e che, particolarmente malconci, hanno avuto un posto assicurato in casa. Il gatto malconcio si riprende dalla malattia circa due ore dopo il suo ingresso in casa, ma finge improvvisi e prolungati colpi di tosse appena il gattaro pensa di reinserirlo nella colonia.
Il gattaro di tipo B, invece, non si prende cura di alcuna colonia. Ha due o più gatti nel proprio appartamento e fornisce occasionalmente stalli a gattini che mollerà al gattaro di tipo A. Devoto ai propri mici, al punto di non allontanarsi da casa più di un giorno, saltuariamente offrirà anche cibo ai gatti di passaggio.
Il gattaro di tipo C ha un gatto, solitamente di razza non europea. Il suo “bambino”, chissà perché sempre a pelo lungo, lo torturerà e lo vesserà. I nemici sono “quei gattacci zozzi” che insidiano il suo Fufi, corteggiato anche da maschioni rossi tigrati che gli canteranno la serenata sotto al balcone, con sdegno del papà.
Il gattaro di tipo D è in assoluto quello che preferisco. Per rendervi più chiara la tipologia in esame, vi riporterò alcune sue frasi-tipo: “Sì, sono un gattaro. Eh? No, non curo una colonia. Sì, avevo un gatto da piccolo. Cioè, non era proprio mio, ma di mia zia. Come? No no, i cani non li sopporto, non sono come i gatti! Belli, agili, indipendenti… Vabbè, lo immagino. Come? No, ma ho un magnete a forma di gatto sul frigo: te lo avevo detto, sono gattaro!”
Naturalmente i gattari di tipo A sono snob e presuntuosi, convinti di portare il peso del mondo sulle proprie spalle. Odiano l’errato uso della parola “gattaro” quasi quanto quello del “piuttosto che” non avversativo. Non tengono conto delle eccezioni e delle sub categorie e, nella loro arroganza, pensano sempre di essere loro i veri gattari, quelli differenti dagli altri, gli unici al mondo, quelli senza macchia. Per fortuna, io sono diversa.
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