Cambogia, vietato il consumo di carne di cane nella provincia di Siem Reap
La Cambogia ha vietato il consumo della carne di cane nella provincia di Siem Reap, quella dove viene maggiormente consumato.
La Cambogia ha vietato il consumo di carne di cane. O almeno: lo ha fatto nella provincia di Siem Reap, quella dove viene maggiormente commercializzata e consumata. Seguendo le orme della Cina, anche la Cambogia sta dicendo stop al consumo di carne di cane. La provincia di Siem Reap è molto nota a livello turistico in quanto è qui che sorge il tempio di Angkor Wat. Ed è proprio qui che il Governo ha deciso di vietare di comprare, vendere e macellare cani.
Cambogia: vietato mangiare i cani
Secondo il gruppo di animalisti Four Paws e Animal Rescue Cambodia, ogni anno in Cambogia vengono uccisi e mangiati circa 2-3 milioni di cani. La provincia di Siem Reap è una delle principali fonti di produzione di questa carne e, molto spesso, i cani vengono rubati dalle case per essere macellati e poi mangiati.
Sempre queste due associazioni hanno scovato 21 ristoranti a Siem Reap dove il piatto principale è proprio la carne di cane. Tuttavia la discussa tradizione culinaria è diffusa anche altrove nello stato: solamente a Phnom Penh, la capitale della Cambogia, ci sono altri 110 ristoranti dove viene regolarmente servita la carne di cane.
La nuova legge prevede che il commercio di carne di cane possa essere punito con multe da 7 a 50 milioni di riel, pari a circa 1.500-11mila euro e con la reclusione in prigione fino a 5 anni.
Se vi state chiedendo il perché la Cambogia abbia deciso di vietare il consumo di carne di cane, sono due i motivi principali:
- questa provincia è una delle maggiori mete turistiche e i turisti non gradiscono questo tipo di cose (anche se a causa del Coronavirus, quest’anno il flusso turistico è stato interrotto)
- i cani vengono sempre più visti anche in Cambogia come animali domestici: consumare carne di cane non solo è disumano, ma contribuisce anche a diffondere pericolose malattie
Via | La Stampa
Foto | Pixabay