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Esame PCR in cani e gatti: che cos’è e a cosa serve

Ecco l'esame PCR cos'è, perché si fa al cane e al gatto e a cosa serve; vediamo se ci sono eventuali rischi quando fa questo test.

Esame PCR in cani e gatti: che cos’è e a cosa serve

Che ne dite se oggi torniamo a parlare di esami nel cane e nel gatto? Vediamo in linea generale che cos’è la PCR e a cosa serve.

Oggi torniamo a parlare di esami nel cane e nel gatto andando a vedere che cos’è la PCR, a cosa serve, quando si usa, quali sono i suoi limiti e i rischi. Ovviamente rimarremo molto sul generale, non sono un tecnico di laboratorio e immagino che i dettagli su come viene eseguito questo test non interessino la stragrande maggioranza dei proprietari di pet. Però secondo me è bene avere almeno un’infarinatura generale in modo da comprendere meglio il veterinario quando vi consiglia un test piuttosto che un altro e per capire bene anche i limiti dei test, ma di questo andrò a parlare meglio dopo.

L’esame PCR a cosa serve?

PCR è l’acronimo che si utilizza per indicare un esame noto come Polymerase Chain Reaction o reazione a catena della polimerasi, anche se di solito si usa sempre la sigla o al massimo la versione inglese. Trattasi di una tecnica di biologia molecolare che permette di moltiplicare frammenti di DNA o RNA (acidi nucleici) in modo da evidenziare la presenza dell’agente patogeno nell’organismo. Questa tecnica venne inventata nel 1983 da Kary B. Mullis e per questo motivo ottenne il Premio Nobel per la Chimica nel 1993. Si tratta di una metodica assai utile perché permettere di individuare virus e parassiti nei cani e nei gatti anche quando questi sono presenti in quantità minima.

Quando si fa l’esame PCR?

In veterinaria si tende ad utilizzare sempre di più l’esame PCR (ovviamente nei casi in cui ce ne sia effettivo bisogno) anche perché è un test molto sensibile. Come dicevamo, l’esame PCR permette di mettere in evidenza la presenza di un agente infettivo tramite il ritrovamento e l’amplificazione successiva del suo DNA o RNA. Di solito l’esito dell’esame oltre a dirti che l’agente è patogeno ti indica anche in che misura è presente, cosa molto utile per esempio in caso di Leishmania per valutare la risposta alla terapia. E’ anche utile in caso di Coronavirus felino, ma qui devo sottolineare come sempre che la PCR ti dice che in quel gatto è presente il Coronavirus, ma come il test sierologico non è in grado di dirti se sia il Coronavirus nella sua forma benigna o in quella maligna che provoca la FIP.

Come si fa l’esame PCR

In generale i laboratori indicano chiaramente il tipo di campione da prelevare per poter eseguire la ricerca: la PCR non si esegue solo su sangue, ma anche su tessuti freschi, raschiati congiuntivali, liquor, aspirati linfonodali, tampone oculare, tampone nasale e via dicendo. Sarebbe opportuno ricercare l’agente patogeno in questo caso nei tessuti in cui maggiormente si concentra il virus. Questo per dire che se cerco una Chlamydia vado magari a fare un tampone congiuntivale, un tampone nasale, un tampone fecale o invio direttamente le feci, non vado a fare un prelievo di liquor o un raschiato cutaneo. Saranno gli stessi laboratori a informare quale tipo di campionamento sia preferibile per quella malattia che stiamo cercando.

La ricerca avviene più facilmente su tessuti freschi, conservati o in soluzione fisiologica o in paraffina, meglio non in formalina perché purtroppo degrada il DNA e si potrebbero avere dei falsi negativi. D’estate i campioni devono essere refrigerati e non devono mai venire a contatto con terreni di trasporto. Questo è importante saperlo per avere dei risultati veritieri.

Per quali malattie viene utilizzato l’esame PCR? Beh eccone qualcuna:

Esame PCR: rischi

Quali rischi comporta eseguire una PCR sul nostro cane o gatto? Tecnicamente nessuno, è un normale esame come tutti gli altri. Bisogna solamente valutare bene la sede del prelievo per ottenere i risultati migliori. Diciamo che come unico rischio c’è quello al portafoglio: la PCR non è esattamente a buon mercato, quindi diciamo che cercare uno o più virus potrebbe richiedere una certa disponibilità economica.

Secondo me il rischio maggiore in questi casi è un fraintendimento da parte del proprietario, cerco di spiegarmi meglio. Ogni tanto sento proprietari parlare di questo o quell’esame (o di questo o quel farmaco) come se fosse la panacea di tutti i mali, quell’esame che permette di diagnosticare tutte le malattie del mondo e che salverà il loro pet, ma non è così che funziona. Ci sono determinate condizioni per cui un esame può essere fatto in un certo momento e in un altro no o per cui ha senso farlo su un paziente e sull’altro no: non mitizzate determinate pratiche solo perché ne avete sentito parlare in tutti i Forum. Starà al vostro veterinario giudicare quando ha senso fare un esame e quando no e non cadete nella trappola di pensare che fare un esame significhi guarire il vostro cane o gatto: serve per indirizzare o fare una diagnosi, ma dal fare una diagnosi a curarlo c’è una certa differenza. Un esempio eclatante è quello della FIP: va benissimo fare tutti gli esami di questo mondo per cercare di diagnosticare la FIP (e ormai sappiamo bene che la diagnosi di certezza è solo post mortem), ma questo non cambierà la terapia e non darà maggiori chance di sopravvivenza al vostro gatto. Questo lo dico perché molti proprietari confondono la diagnosi con la terapia e la prognosi.

La dottoressa veterinaria Manuela risponderà volentieri ai vostri commenti o alle domande che vorrete farle direttamente per email o sulla pagina Facebook di Petsblog. Queste informazioni non sostituiscono in nessun caso una visita veterinaria. Ricordiamo che Petsblog non fornisce in nessun caso e per nessun motivo nomi e/o dosaggi di farmaci.

Foto | ktylerconk

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