La luna, i gatti e New York
Secondo il poeta colombiano Mario Rivero (1935-2009) New York è una città piena di cose strambe, con i gatti vagabondi che dormono sotto le automobili
Mario Rivero (1935-2009) è stato un poeta colombiano, giornalista e critico d’arte. È stato definito poeta del mondo urbano, perché temi ricorrenti nella sua opera sono la vita della città, le strade, la disperazione, la malinconia delle periferie, il tutto descritto con un linguaggio popolare.
Spirito anarcoide ed errabondo, Rivero è vissuto senza un lavoro fisso. I sogni lo hanno spesso caratterizzato, come quello di andare a vivere altrove, a New York per esempio, città che per molti è sinonimo di libertà assoluta. Ma, nel caso particolare di Mario Rivero quel che salta agli occhi è che di New York la prima cosa che nota sono “i gatti vagabondi” che “dormono sotto le automobili”. Un po’ forse uno squarcio della sua intimità e del suo desiderio di vivere libero, tra le strade di questo nostro mondo (e proprio Vuelvo a las calles – Torno alle strade è il titolo di una sua opera del 1986).
La luna e Nuova York
Ci incontravamo tutti i giorni
nello stesso posto.
Spartivamo versi, sigarette,
e a volte un romanzo d’avventure.
Buttavamo pietruzze
dal ponte, dove mangiavano
gli operai della fabbrica di vetro.
Le dicevo che la terra è rotonda,
mia zia strega e la luna un pezzo di rame.
Che un giorno sarei andato a Nuova York,
la città che abbonda di cose strambe,
dove i gatti vagabondi
dormono sotto le automobili,
dove c’è un milione di mendichi,
un milione di luci,
un milione di diamanti.
Nuova York, dove le formiche
ci mettono secoli a scalare l’Empire State
e i neri passeggiano per Harlem
vestiti con colori chiassosi
che stillano lucido d’estate.
Sarei andato per ristoranti
fino a trovare un cartellino:
“Cercasi ragazzo per lavare i piatti.
Non si richiede titolo universitario”.
A volte avrei mangiato un sandwich,
avrei raccolto mele in California,
avrei pensato a lei quando saliva in ascensore
e le avrei comperato un vestito simile al neon…Mi stava per baciare quando
suonò la sirena della fabbrica.
Foto | Dan DeLuca