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La cieca violenza umana contro gli animali: Tarsio, poesia di Wisława Szymborska

In “Tarsio” la poetessa Wisława Szymborska si sofferma a riflettere sulle violenze che gli esseri umani perpetrano agli animali.

La cieca violenza umana contro gli animali: Tarsio, poesia di Wisława Szymborska

Wisława Szymborska ha scritto diverse poesie sugli animali: celebre è Il gatto in un appartamento vuoto, come anche Monologo di un cane coinvolto nella storia e una molto intensa su Gli animali del circo.

Tra le poesie della poetessa, Premio Nobel per la letteratura nel 1996, ne troviamo anche una dedicata ai tarsi, piccole scimmie di una quarantina di centimetri (venticinque dei quali solo di coda!) con grandissimi occhi luminescenti. Wisława Szymborska ha incontrato i tarsi tra le pagine di un’enciclopedia e ha dedicato loro una poesia, una sorta di dialogo con uno di loro. Il colloquio è forte e stigmatizza le violenze che noi esseri umani perpetriamo agli animali non umani: il tarsio, infatti, si è salvato dall’ira umana “perché come leccornia non valgo niente,/ per i colli di pelliccia ce n’è di più grandi,/ le mie ghiandole non portano fortuna,/ i concerti si tengono senza le mie budella”. Una poesia che fa riflettere!

Tarsio

Io, tarsio, figlio di tarsio
nipote e pronipote di tarsio,
piccola bestiola, fatta di due pupille
e d’un resto di stretta necessità;
scampato per miracolo ad altre trasformazioni,
perché come leccornia non valgo niente,
per i colli di pelliccia ce n’è di più grandi,
le mie ghiandole non portano fortuna,
i concerti si tengono senza le mie budella;
io, tarsio,
siedo vivo sul dito di un uomo.

Buongiorno, mio signore,
che cosa mi darai
per non dovermi togliere nulla?
Per la tua magnanimità con che mi premierai?
Che prezzo darai a me, che non ho prezzo,
per le pose che assumo per farti sorridere?

Il mio signore è buono –
il mio signore è benigno –
chi ne darebbe testimonianza, se non ci fossero
animali immeritevoli di morte?
Voi stessi, forse?
Ma ciò che già sapete di voi
basterà per una notte insonne da stella a stella.

E solo noi, pochi, non spogliati della pelliccia,
non staccati dalle ossa, non privati delle piume,
rispettati in aculei, scaglie, corna, zanne,
e in ogni altra cosa che ci venga
dall’ingegnosa proteina,
siamo – mio signore – il tuo sogno
che ti assolve per un breve istante.

Io, tarsio, padre e nonno di tarsio,
piccola bestiola, quasi metà di qualcosa,
il che comunque è un tutto non peggiore di altri;
così lieve che i rametti si sollevano sotto di me
e da tempo avrebbero potuto portarmi in cielo,
se non dovessi ancora e ancora
cadere come una pietra dai cuori
ah, inteneriti;
io, tarsio,
so bene quanto occorra essere un tarsio.

Foto | Jenny from Taipei (Tarsier) [CC-BY-2.0], attraverso Wikimedia Commons

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