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I gatti nell’arte, un viaggio affascinante

Lo storico dell’arte Stefano Zuffi ci accompagna in un affascinante viaggio attraverso quattromila anni di capolavori d’arte in cui compare l’immagine del gatto

I gatti nell’arte, un viaggio affascinante

I gatti nell’arte è un bel librone in carta patinata di oltre 350 pagine, che ci riporta le riproduzioni delle più grandi “firme” dell’arte che nelle loro opere hanno immortalato l’adorabile quattrozampe. Innanzitutto nella pittura, ci ricorda l’autore – lo storico dell’arte Stefano Zuffi – “come è nella sua natura, il gatto raramente si erge a protagonista: più spesso, per accorgersi della sua presenza bisogna osservare con calma, aguzzare lo sguardo”. Il gatto è spesso “perso nei suoi percorsi”, estraneo a quello che sta accadendo sulla scena. Ci trasporta in un’altra dimensione: la sua.

Dalle statuette della dea gatta Bastet “venerata per avere un parto sereno e un puerpuerio senza rischi”, passiamo alle immagini degli splendidi affreschi di Pompei del dio Bacco, che col sottofondo di un bel “rosso pompeiano”, appunto, ha ai suoi piedi un felino.

Durante il Medioevo invece il gatto viene raffigurato in una duplice veste: “da un lato come l’invidiabile e serafico satrapo domestico, geloso custode del proprio benessere; dall’altro, l’animale notturno, inafferrabile, feroce e inquietante”, e in questa veste appare ad esempio nelle splendide miniature medievali inglesi.

Stefano Zuffi, Gatti nell'arte

Il gatto viene raffigurato anche nei primi dipinti d’arte sacra – ricorrente cane e gatto in lotta sotto il tavolo dell’Ultima Cena, per molti pittori – mentre durante il Rinascimento diventa “una continua fonte di emozione e meditazione, animale prediletto di chi ama la concentrazione”. Lo è anche per Leonardo da Vinci, che ci ha lasciato, oltre a dei disegni di gatto nelle pose più diverse, anche innumerevoli “abbozzi” di un quadro che volle dipingere per tutta la vita: una Madonna con bambino e gatto. Li usò invece come base per la famosissima Dama con l’ermellino.

In generale comunque – specifica l’autore – il gatto rinascimentale si afferma come il simbolo stesso della quiete domestica, dell’intimità della casa, dei legami tra i diversi membri della famiglia, persino quando si lascia stuzzicare nei giochi dei bambini, come nel caso di un memorabile dipinto di Annibale Carracci.

E così troviamo dipinti del grande Van Eyck, di Antonello da Messina, una splendida Ultima cena del Ghirlandaio, la Nascita del Battista di Tintoretto ma anche un “Ritorno di Ulisse” del Pinturicchio in cui il gatto è a suo modo protagonista.

Stefano Zuffi, Gatti nell'arte

Per il gatto barocco parla un’annunciazione di Rubens (in cui il gatto è placidamente accoccolato, nel sonno, ai piedi della Vergine), o la Sacra Famiglia del Rembrandt, composta dal pittore dopo la morte dell’amata moglie, in cui il gatto diventa simbolo di una serenità domestica tutta da riconquistare.

A cavallo di Illuminismo e Romanticismo invece “assistiamo all’affacciarsi di una nuova situazione nell’immagine del gatto: quella della sensualità, della malizia, della seduzione”. Il gatto con la sua natura “poliedrica” e in sostanza sfuggente, non è molto amato dagli intellettuali illuministi “amanti del sapere ben catalogabile”. Alcuni dei dipinti con gatti più belli, all’epoca, sono realizzati da Chardin.

A cavallo fra Romanticismo e Impressionismo il discorso cambia: la figura del gatto “completa in modo impeccabile gli scenari fatti di pesanti tende di broccato, di divani imbottiti, pianoforti intagliati, soffici tappeti pelosi… un campo di gioco e di nascondigli perfetti per i gatti di casa”.

Stefano Zuffi, Gatti nell'arte

Tuttavia il rovescio della medaglia è che “l’imperturbabile immutabilità del gatto, sempre fedele a se stesso… diventa una sorta di ostacolo all’integrazione nelle nuove abitudini borghesi”, che preferiscono il cane. Cane di razza, cane da caccia, ad esempio, mentre il gatto non ha il potere di indicare il lignaggio dei padroni.

Fra gli impressionisti, ci sono i gatti di Tahiti ritratti da Gauguin, e anche in Henry Rousseau. Anche in Olympia di Manet c’è un gatto! Nero, nerissimo, sul lato destro del dipinto.

La sorpresa è che invece nel ‘900 i pittori sembrano aver rivalutato il gatto: da Klee a Chagall, passando per Mirò e Picasso, o Lucian Freud, il gatto – soprattutto grazie al Simbolismo – trova una serie di interpretazioni pittoriche davvero senza paragoni in tutta la precedente storia dell’arte, grazie alla sua “duplicità inafferrabile, alla possibilità di letture contraddittorie e misteriose” della sua personalità.

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