I gatti di Maometto: storia di un rapporto privilegiato
Una tradizione musulmana racconta che Maometto, pur di non svegliare l’adorata gatta che si era addormentata sulla sua veste, ne tagliò la manica prima di alzarsi, in modo da non disturbare il sonno della sua Muezza. In una delle raccolte canoniche più prestigiose dell’Islam, quella di Al Bukhari, si racconta che l’inferno e le torture […]
Una tradizione musulmana racconta che Maometto, pur di non svegliare l’adorata gatta che si era addormentata sulla sua veste, ne tagliò la manica prima di alzarsi, in modo da non disturbare il sonno della sua Muezza. In una delle raccolte canoniche più prestigiose dell’Islam, quella di Al Bukhari, si racconta che l’inferno e le torture eterne fossero stati la ricompensa per una donna che aveva rinchiuso il proprio gatto senza nutrirlo e senza dargli, quindi, la possibilità di procacciarsi da solo il cibo.
L’Islam ha sicuramente un rapporto privilegiato coi gatti, forse dovuto all’abitudine dello stesso Maometto di predicare o di ricevere i fedeli con la sua Muezza seduta in grembo. In generale, le crudeltà verso gli animali sono pesantemente sanzionate, e vengono considerate dei gravi peccati. È vero, d’altra parte, che i cani non sono visti di buon occhio, secondo la superficiale spiegazione che, rovistando tra i rifiuti, siano animali impuri. Ovviamente si tratta di considerazioni che non porterebbero mai una persona sana di mente a torturare un cane: anzi, le popolazioni nomadi hanno spesso uno strettissimo rapporto con levrieri come i Saluki, compagni di caccia nel deserto e autorizzati a dormire nella tenda del padrone, come un membro della famiglia.
In quasi tutte le città a maggioranza musulmana che ho visitato o nelle quali ho vissuto, c’è una quantità di gatti notevole: mi sono sempre sentita come una bambina in una pasticceria! I gatti sono parte integrante del paesaggio, e la gente li tratta come appartenenti di diritto alla popolazione residente. A volte sono troppo macilenti per i miei canoni occidentali, ma godono di indubbio rispetto. In nazioni che storicamente possono considerarsi “bibliofile” (mi riferisco, ad esempio, al fondamentale contributo dato dagli studiosi musulmani alla diffusione della filosofia classica), i gatti assicuravano la salvaguardia dei preziosi volumi dai topi che infestavano le biblioteche.
Il viaggiatore che si appresta a visitare Istanbul o il Cairo noterà, una volta sul posto, gattini che si aggirano persino nelle moschee, che riposano all’ombra degli antichi minareti o che, semplicemente, attendono con pazienza davanti a quei piccoli ristoranti col bancone sulla strada, che invece di hot dog sfornano deliziosi cibi profumati. Personalmente, conosco più di una persona che, trovandosi in una di queste città per lavoro, è poi tornata in Italia con un trasportino dal quale spuntava un musetto curioso: il musetto di un animaletto nato e cresciuto in una nazione che, come l’Egitto, sul gatto ha fondato parte della propria storia religiosa. Chissà questo gattino come si troverà qui, in un paese che sembra perdere sempre più il senso della sacralità del rapporto tra uomo e animale.
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