Giornata mondiale della Libertà di stampa, vent’anni dopo la Dichiarazione di Windhoek
Oggi è il 3 maggio 2011, ventesimo World Press Freedom Day: è la giornata mondiale della libertà di stampa. Perché si festeggia proprio oggi? Perché risale al 3 maggio 1991 la Dichiarazione di Windhoek – la trovate sul sito Unesco – una carta destinata a delineare il futuro degli stati africani in tema di libertà […]
Oggi è il 3 maggio 2011, ventesimo World Press Freedom Day: è la giornata mondiale della libertà di stampa. Perché si festeggia proprio oggi? Perché risale al 3 maggio 1991 la Dichiarazione di Windhoek – la trovate sul sito Unesco – una carta destinata a delineare il futuro degli stati africani in tema di libertà di stampa.
A leggerla cosa ci troviamo? Troviamo molti punti ancora attuali: se pensate che tutto ciò fu pensato per l’Africa del 1991, un continente a pezzi forse ancora più di quanto lo è oggi, fa un discreto effetto notare come alcuni dei punti del manifesto siano perfettamente applicabili anche all’Italia del 2011, e non solo.
Naturalmente nella Dichiarazione di Windhoek manca qualcosa senza cui non leggereste questo post: internet. Le libertà digitali, le infinite possibilità che la rete offre alla libertà di espressione e di stampa erano chiaramente impensabili vent’anni fa in Europa, figuriamoci in Africa: proviamo ad approfondire dopo il salto.
Il primo punto riprende la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo: sostiene che la presenza di una stampa libera, indipendente e pluralistica sia essenziale allo sviluppo e al mantenimento della democrazia di una nazione – oltre che allo sviluppo economico.
Il secondo punto spiega cosa si intenda per stampa libera: una stampa indipendente da controllo governativo, politico, economico. Ecco: già a questo punto, qualche riflessione sull’Italia del 2011 inizierei a farla. Ma è al terzo punto della Dichiarazione che si descrive un Paese che conosciamo abbastanza bene: quello in cui viviamo.
Traduco “per stampa pluralistica, intendiamo la fine dei monopoli di ogni tipo, e l’affermazione del maggior numero possibile di quotidiani, magazine, e periodici che riflettano il raggio più ampio possibile di opinioni della comunità”. Ecco: sentire “fine dei monopoli” e pensare al sistema televisivo italiano…
Fa pensare un po’. Di fatto quello italiano non è un monopolio in senso stretto, ma non definirei esattamente Rai e Mediaset come concorrenti. È un amichevole oligopolio quello che si spartiscono, molto, molto amichevole. Ricordiamoci sempre: Dichiarazione Windhoek, Namibia 1991. Questo post: Milano, Italia 2011.
Ed è un oligopolio particolarmente problematico in quanto è tramite la televisione che la maggior parte degli italiani riceve informazioni e si forma un’opinione – Sartori aveva tratteggiato perfettamente in Homo Videns questa tendenza – Più della carta stampata, più naturalmente del web, territorio ancora relativamente libero. Libero davvero? Il web? Libero, più o meno.
Certo, la situazione italiana non è sicuramente quella che ci ha raccontato ieri Eleonora Bianchini – reduce dall’incontro MediEncounter ad Alicante – dove si sono ritrovati gli attivisti del Mediterraneo protagonisti delle rivoluzioni in Libia, Tunisia o Egitto. Rispetto a loro dovremmo stappare champagne: rispetto ad altri Paese europei, decisamente no.
Quanto si desideri chiudere un po’ il rubinetto della libertà sulla rete è evidente: pensate al Decreto Pisanu, per esempio. Decaduto? Magari: come potete leggere per esempio in questo pezzo di Guido Scorza su Wired del 31 gennaio 2011. Un decreto che potete immaginare così: come se ogni volta che salite in macchina, qualcuno vi controllasse la patente. L’impressione è che la tentazione di un giro di vite anche sul web sia forte.
Ma anche che quello stesso web conti ancora poco, e che sia più interessante mantenere il pallino del gioco in un altro campo, più facilmente gestibile: quel campo è la tv. Perché la carta stampata conta, sì – parlo dell’Italia – ma la partita del consenso vero si gioca in un altro campo, quello catodico. La bandierina meglio tenerla ancora lì.
Sono i dati usciti da Freedom House a metà aprile scorso – qui il pdf integrale – quelli in cui si descrive l’Italia come libera sul web – ecco il pdf – mentre la stessa organizzazione ci descriveva nel 2010 come “partly free” – qui pdf integrale 2010 – per quanto riguarda la libertà di stampa “tradizionale” a confermarlo indirettamente.
Una classifica quest’ultima nella quale ci troviamo in maniera imbarazzante indietro, ultimi tra i Paesi dell’area Euro insieme alla Turchia: per un quadro più completo, Fabio Chiusi scrisse questo ottimo post a riguardo. Buon 3 maggio a tutti.