Gattari da legare: Sguardi inquisitori
I gatti appaiono all'improvviso.
Siete in cucina, vi fate i fatti vostri e a un certo punto, chissà perché, guardate verso la finestra. Lì c’è un gatto, che vi osserva da chissà quanto. Siete fermi per strada, aspettate qualcuno o qualcosa. Dopo un quarto d’ora abbondante vi rendete conto che, sul muro che vi sovrasta, c’è un micio appollaiato che vi spia.
Stessa cosa in casa: cercate uno dei vostri mici disperatamente, il che di solito accade quando dovete uscire e siete in ritardo, e Fufi è lì, sulla credenza davanti alla quale siete passati e ripassati cento volte.
Il gatto ha sempre questa capacità di materializzarsi all’improvviso, e di piazzarvi addosso i suoi occhi con le sfumature della giada. Il senso di disagio che provocano questi suoi atteggiamenti lo conosce solo chi ha un gatto: da quanto sei lì a guardarmi? Che ho fatto? E va bene, ho bevuto dalla bottiglia/sono rimasta a origliare la telefonata del mio vicino alla fermata dell’autobus, allora?
I gatti riescono a incarnare, col loro silenzio, mille grilli di Pinocchio. Sono la coscienza silenziosa, non pedante: loro non ti dicono cosa hai fatto di male, ti portano ad ammettere colpe inesistenti solo col loro sguardo. Mi chiedo per quale ragione le forze dell’ordine non li usino negli interrogatori: si lasciano un po’ col sospetto, si accende una videocamera e quello, dopo un po’, ti confessa pure delle cinquecento lire rubate dalla borsa della nonna a sette anni.
Se si ascoltassero le cose che ho raccontato ai gatti durante la mia vita, uscirebbe di me un quadro mostruoso. Ma la cosa davvero meravigliosa è che, dopo uno dei miei bucati di coscienza coi mici, loro mi hanno sempre guardata con assoluta indifferenza per andare poi a grattare contro il mobiletto dove tengo i croccantini.
Le cose sono due: o noi gattari siamo pazzi e immaginiamo solo che i gatti rappresentino la nostra coscienza, o i croccantini sono il prezzo del loro silenzio. Opto per la seconda ipotesi, naturalmente.
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Foto | Flickr