Gattari da legare: Psicodrammi canini
I tentativi di una gattara di essere credibile come capo branco
Negli ultimi giorni ho più volte visto una trasmissione che segue il lavoro di un addestratore per cani. Le mie esperienze feline hanno reso indispensabile solo la figura del veterinario, non avendo mai avuto animali con disturbi comportamentali: per quanto riguarda l’aspetto psicologico, qualunque persona che ami gli animali, che abbia del tempo a disposizione, che sappia in anticipo che oggetti e mobili andranno distrutti, che non faccia il taccagno quando si tratta della salute del gatto, che sia consapevole del fatto che un micio ha bisogno dei suoi spazi e sia disposto (cosa difficilissima, ci riesco a sprazzi) a non umanizzare il proprio animale potrebbe essere un gattaro. In realtà, alla mia lunghissima lista mancano un altro paio di condizioni, ma non volevo esagerare.
Per i cani, a quanto pare, la situazione si complica: il padrone deve essere un “capo branco”. Oddio, come si diventa capi branco? A giudicare dalla trasmissione deve essere un incubo, io non ne sarei in grado: mi fa immaginare la mia ipotetica vita con un cane come una lotta perenne. Mi vedo a quattro zampe che strappo dalle fauci del mio cucciolo brandelli di preda sanguinolenta, abbaiandogli contro per fargli capire chi comanda. Non posso vivere imponendo di continuo la mia supremazia, è stressante. Forse ho frainteso ciò che dice, ma quell’uomo mi mette un po’ d’ansia, e mi fa passare ogni voglia di avere un cane: se fosse un professore del liceo i suoi metodi starebbero bene in un romanzo di Charles Dickens. Deve essereci un altro modo: il suo addestramento mi ha fatto venire in mente il film “Galline in fuga“.
Imparare a comportarmi da capo branco, comunque, è il mio compito della settimana e, naturalmente, lo faccio per amore dei gatti. Da quando i miei vicini e la loro pitbull, la signorina Mia, se ne sono andati, il giardino è diventato terra di conquista per tutti i cani del vicinato, rigorosamente liberi di fare quel che vogliono e di andare dove vogliono. La loro presenza, però, disturba e inquieta i miei ospiti felini e, così, sto imparando a fare il cagnone che difende il territorio. Appena sento quei latrati isterici, esco con le mani sui fianchi, gonfiandomi come un piccione in amore, ed emetto suoni spaventosi. Non sono sicura che funzioni: è il terzo giorno che recito la parte della gallina con la raucedine, ma loro tornano sempre.
Imparerò a impormi, anche perché tra un po’ incontrerò Enzo Paolo, il barboncino snob di mia madre. La sensibile donna attribuisce il caratteraccio della bestia al trauma che ha subito, essendo stato abbandonato almeno un paio di volte prima che lei lo adottasse. Penso che un animale maltrattato diventi guardingo, non si fidi degli umani e scappi o, messo alle strette, morda, ma va precisato che lui è viziatissimo e prepotente. L’unica in grado di tenerlo a bada è la gatta più anziana: lo guarda e lui cambia strada. Dovrò studiarla bene, potrebbe essere la soluzione alla mia riluttanza a diventare una capo branco: diventerò una capo gatta.
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