Gattari da legare: Perché occuparsi di una colonia felina
La scorsa settimana abbiamo parlato dei motivi che spingerebbero qualunque persona sana di mente a non intraprendere la via della “gattarietà” (va bene, è un termine che non esiste, ma oggi mi va di coniare parole).
La vita del gattaro è una vita da cani, eppure è una scelta che tanti di noi condividono. Per quale ragione? Perché noi gattari ci facciamo un sacco di risate.
Ridere fa bene al cuore, a quanto dicono; i gatti, nelle giornate proprio negative, ti fanno ridere almeno una volta. Generalmente le risate sono dovute a qualche guaio che combinano e al loro modo di relazionarsi col nostro mondo e coi nostri oggetti. Tempo fa vi raccontai di quando uno dei gatti della colonia, spazientito dal tempo che perdevo nel servire la cena, piombò da un’altezza di due metri nel piatto col merluzzo che avevo tra le mani, ricoprendomi di pesce (e acqua di cottura della stesso). Nonostante puzzassi e fossi disgustata dalla mia stessa presenza, non riuscii a rimproverarlo, anzi! In fondo aveva ragione: io temporeggiavo e lui moriva di fame.
Chiunque abbia avuto a che fare con gattini piccoli, poi, saprà che gioia incredibile rappresenti il vederli giocare, cacciare, correre e rotolare. Una delle scene più ricorrenti è quella del gattino che sale da qualche parte e cade all’indietro, o quella del gatto che sfreccia con una busta sulla testa, alla cieca. I nostri gatti sono tutti grandi, e riescono ancora a infilarsi nelle buste e a non saperne uscire.
E poi c’è l’affetto: tornare a casa non è bello solo per chi ha un cane, ma anche per chi ha dei gatti ad aspettarlo. Affamati o meno, i gatti della colonia vengono sempre a salutarti, a farsi una strusciatina sulle gambe. Nelle belle serate calde, stando fuori in giardino o in cortile a prendere il fresco, i gatti di casa e quelli della colonia si mescolano, cercando la compagnia di noi bipedi. Si può stare fuori anche tutta la notte, loro cercano un posticino vicino al loro umano, fanno le pulizie, fanno un sonnellino. Coi gatti vicino, non mi sono mai sentita sola: quando vivevo in campagna, a volte, tornavo a piedi dalla fermata dell’autobus. L’ultimo tratto di strada era un viottolo buio e sterrato. Spesso approfittavo della passeggiata per chiamare mia madre. I gatti dovevano sentire la mia voce, perché subito, nel buio pesto, sentivo i loro miagolii e le loro testoline contro le caviglie. E mi accompagnavano fino al cancello, tagliando tra le siepi e saltando sui muretti. Ed ero a casa.