Gattari da legare: Parole gatte
La comprensione che i gatti hanno delle nostre parole.
Sulla comprensione che i gatti hanno del lessico umano ne ho lette tante ma, da gattara, mi uniformo al sentire comune della mia categoria: certo che capiscono quanto diciamo. Non vorrei essere troppo fondamentalista, ma è innegabile che alcuni suoni, legati a un determinato tono di voce, catturino la loro attenzione.
Generalmente, amano la radice “mng”: chi vuole mangiare? Si mangia! Andiamo a mangiare. Hanno poi un originale modo di interpretare gli avverbi di luogo: giù, su (ma anche “via”), vengono tradotti con “continua pure a fare ciò che stavi facendo”. Quando però l’invito è a salire sulle nostre gambe, significante e significato, magicamente, coincidono.
I miei poi hanno una passione smodata per il suono “sh”; quando mi rivolgo ai gatti, assumo un tono ebete e trasformo tutte le parole, ad esempio “che bel miscino, cosa stai fascendo? Vieni sciubito qui a farti scianscicare!”. Non so per quale ragione io abbia voglia di ciancicare un gatto, credo sia un malato procedimento mentale che ha associato il doppio significato di sgualcire e di pronunciare male. Comunque, dopo aver sgualcito (pardon: sgualscito) i gatti, passo a riempirli di bascetti.
Una cosa che non ho mai capito è la comprensione che i miei gatti hanno della parola “vogliamo”: appena la pronuncio, sempre col tono stupido, inclinano la testa incuriositi, anche perché sanno che il seguito sarà “spazzolarci, mangiare, giocare”. Si preparano quindi a darmi attenzione. Qualche anno fa, convinta di aver fatto la scoperta del secolo, decisi di utilizzare il “vogliamo” accoppiato a “mettere l’antipulci, prendere la medicina”, ma non ha funzionato. Scoprivano subito il mio secondo fine, e sul “vo…” erano già spariti nella quarta dimensione. Sono troppo intelligenti, i miei miscetti.
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