Gattari da legare: La fretta, cattiva consigliera
Oggi parliamo di una compagna delle nostre giornate: la fretta.
Ci sono due scuole di pensiero: secondo la prima, i gattari sono persone che prendono la vita con calma, senza troppa ansia. Il gattaro nasce tranquillo, se la prende comoda e passa volentieri dieci ore di fila sul divano. Il gatto diventa il naturale prolungamento di gambe allungate su poggiapiedi, e scaldino per pance nella brutta stagione.
La seconda scuola di pensiero, invece, vede il gattaro diventare pigro dopo l’adozione del micio: da lui impara i tempi lunghi dei sonnellini e degli appostamenti, il “furto” di un quarto d’ora al sole ai danni dei propri impegni. Qualunque sia il vostro pensiero al riguardo, una cosa è certa: prima o poi tutti noi andiamo di fretta, e il gatto intercetta il nostro bisogno di muoverci rapidamente e lo boicotta.
Vi sarà capitato di svegliarvi tardi e di correre per uscire di casa in tempo. Vi lavate, vi vestite, date da mangiare al micio, prendete la borsa e… il dramma. Il gatto, proprio in quel momento, vomita un bolo di pelo sul materasso. Per un attimo pensate di pulire al vostro ritorno, ma cacciate indietro quell’idea assurda e vi precipitate a pulire, terrorizzati all’idea di passare una domenica pomeriggio all’Ikea a scegliere un materasso nuovo.
Peggio ancora: dopo aver afferrato le chiavi di casa, sentite un rumore come di una mandria di bufali in salotto. Correte e non vedete bovini in giro, ma solo Fufi che dorme come se non avesse fatto altro nelle ultime dodici ore. Per terra, i cocci di tutti i soprammobili un tempo presenti nella stanza. Dire “il mio gatto mi ha fatto perder tempo” è una scusa accettata da chi vi conosce bene, ma del tutto inappropriata se detta al capo sul posto di lavoro. I contratti di lavoro non prevedono permessi e congedi per simili eventualità. Anzi, spesso il datore di lavoro ha un cane, bruttissimo e antipatico, e non concepisce questo attaccamento morboso (dal suo punto di vista) a un animale che lui detesta.
Il mio consiglio è: date al vostro gatto un nome tipo “Giovanni” o “Stefania”. Non ne parlate come se fosse un figlio: i datori di lavoro non amano chi ha figli, soprattutto se donna. Tenetevi sul vago: parlatene come se fosse un cugino, o uno zio anziano. Un parente a carico. Non vi salverà da eventuali reprimende, ma queste ultime saranno comunque più leggere se il capo non verrà a sapere che il ritardo è imputabile a un gatto. Per quanto riguarda quest’ultimo: non fate mai capire che andate di fretta. Muovetevi con calma, guardatelo negli occhi senza tradire la vostra ansia. Non fate gesti improvvisi, agite come i protagonisti di Jurassic Park davanti al T Rex. Non guardate l’orologio: lui capirà al volo. Una sciocchezza basta a tradirvi. E lui vi rovescerà il caffè sulla gonna appena indossata, farà pipì nel lavandino o vi farà inciampare facendovi finire sul cactus nell’ingresso. Buona fortuna, miei prodi.
Foto | Flickr