Gattari da legare: I gatti non fanno la guerra
Da qualche parte, tempo fa, vidi la foto di un soldato in trincea che accarezzava un gattino che si trovava lì, vicino a lui. Era un soldato britannico, in Francia, durante la Prima Guerra mondiale.
Non so che fine abbiano fatto entrambi, ma non sarei molto ottimista. Il soldato, nella foto sgranata, sembra sorridere mentre stringe la zampetta del gatto, in un’amichevole stretta a suggello dell’amicizia tra nazioni. Lì, tra la neve, un attimo di normalità.
Ieri, invece, mi è capitato di vedere un altro gatto in foto: la scena era meno consolante, però. Si trattava dello scatto di una fotoreporter italiana che vive a Gaza e che, col suo obiettivo, ci ricorda che le vittime di guerra non sono solo umane.
Perché queste foto colpiscono tanto? Ci sono decine di migliaia di foto di teatri di guerra che girano su internet, ma queste due, anche se in modo diverso, si sono stampate nella mia mente. Probabilmente è perché i gatti in questione non ne sapevano nulla, di quello che stava succedendo. Uno passava di lì per caso e, magari, sperava in qualche briciola o in una carezza che lo scaldasse per un po’ tra quella neve. L’altro me lo immagino mentre sonnecchiava nel caldo della Terra Santa, quando è stato sorpreso coi fratelli e con gli altri animali del recinto dall’esplosione.
Della guerra fa paura la normalità spezzata e, per una gattara, la normalità è fatta di gatti che chiedono coccole o che sonnecchiano. L’estraneità delle vittime al conflitto è quello che più ci turba, in queste come nelle immagini dei bambini in scenari bellici. Dovremmo pensare a questo, quando si ammazzano in terre lontane da noi: alla quotidianità di un gatto che si avvicina alla ciotola col cibo, alla gattara che glielo porta, a un gattino che gioca nella neve. Perché, nonostante tutto, alla Natura non interessa nulla delle nostre guerre, ma ne paga anch’essa il prezzo.
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