Gattari da legare: Gatti & co
Ho rivisto Monsters & co. Avendo una bambina piccola, potrei mentirvi e dire che sono stata costretta, ma la verità è che mi piace.
Incredibilmente, non avevo mai fatto caso a una cosa, o forse la ritenevo normale e l’ho registrata solo adesso: Boo, la bambina, chiama il protagonista Sulley “gatto”. In lingua originale, “kitty”. Perché una bambina dovrebbe chiamare un orso azzurrino con le corna “gatto”?
Qualche malpensante potrebbe dirmi che la scelta è un paradosso, che sorgerebbe dalle dimensioni del temibile spaventatore e dal suo ruolo. I gattini invece sono piccoli e teneri, tranne quelli di mia conoscenza. E, forse, è ciò che hanno pensato gli sceneggiatori della Pixar.
Il fatto è che i gattini non sono teneri nemmeno da cuccioli. Quando ti fanno l’onore di coinvolgerti nei loro giochi, è solo perché hanno bisogno di una preda, che si tratti delle tue mani o dei tuoi piedi. Chi vede i gattini solo su YouTube non ha una percezione precisa del problema: vede dei dolci batuffoli che giocano, non dei rasoi con un cervello. I gatti regalano momenti di coccole e ti leccano in modo furioso, ma solo dopo averti affettato i piedi, rei di muoversi sotto le lenzuola. Sulle leccate dei gatti, poi, andrebbe aperto un capitolo a parte: quando mi fanno la suprema concessione non mi ribello, ma non c’è nulla di peggio della lingua dei gatti sulle palpebre…
Ma vanno presi così, ed è anche per questo che li amo. A pensarci bene, le opzioni sono due: o gli sceneggiatori hanno fatto questa scelta per ridicolizzare il terrore suscitato da Sulley, oppure hanno un gatto temibile che, di notte, spunta dall’armadio.
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