Gattari da legare: E i gatti a chi li lascio?
C'è una frase che ho sentito ripetere sin da quando ero piccola: "E i gatti a chi li lascio?".
Non è una frase da pronunciare quando si intende prenotare una vacanza di 15 giorni, è una frase che si pronuncia per un’assenza di 8, 10 ore. Sin dai tempi più remoti, a casa mia, le vacanze si fanno a turno. Quando c’era mia nonna lei si occupava della colonia e noi partivamo “solo” coi 2, 3 gatti di casa. Quando lei è venuta a mancare, ogni periodo festivo era scandito da rigidi calendari. Ma, come ho detto, noi andiamo oltre…
In alcune occasioni irripetibili, come le discussioni di laurea mia e di mia sorella, i gatti sono rimasti da soli per alcune ore. Per noi è davvero strano chiudere casa: è una cosa che si fa solo di notte. Abbassare tapparelle, chiudere imposte, dare mandate alla porta: operazioni che si ripetono ogni giorno in tutte le case sono per noi una rarità. C’è sempre qualcuno a disposizione dei mici. Ma è un atteggiamento non dico normale, ma sano? Non credo.
Quelle rarissime volte in cui i gatti sono rimasti soli non è successo proprio niente: al nostro ritorno li abbiamo trovati a oziare su sedie, letti, divani e tavoli. Niente drammi, niente feste al nostro ritorno: abbiamo sempre potuto constatare che a nessuno di loro era venuto un attacco di panico o un’improvvisa fame che lo aveva spinto a finire i 3 chili di croccantini o i 2 litri di acqua lasciati a disposizione. Ma allora, perché ci ostiniamo a dire “Non possiamo uscire tutte insieme: i gatti a chi li lasciamo?”. Perché siamo gattare ossessionate e con manie varie, influenzate da una nonna che viveva la sua giornata in funzione della salvaguardia della colonia. E, diciamocelo, i gatti ci sono anche serviti come scusa per rifiutare qualche invito poco gradito.
Quando ero una giovane studentessa liceale o universitaria, venivo presa in giro senza pietà: “Ah, no. Graziella non può venire con noi il fine settimana. La madre è al mare e tocca a lei badare ai gatti”. “Graziella non può venire a dormire da me, questo sabato è di corvée”. Chi mi conosceva meglio, ripeteva queste frasi senza cattiveria o stupore: si erano abituati. Avevano preso questa caratteristica della nostra famiglia come una cosa assodata e non più stramba delle abitudini di qualsiasi famiglia.
Devo farmi un complimento: sin da bambine, io e mia sorella abbiamo preso con molta serietà i nostri compiti. Quando un animale entra in una famiglia, di solito si fa il lavaggio del cervello ai bambini: “Il cane lo prendiamo, ma voi dovete promettere che lo porterete giù due volte al giorno!”. Questo quando entra un animale in famiglia… Ma nel nostro caso, praticamente, si trattava di due bambine che entravano in colonia. A ripensare alla mia infanzia, infatti, mi convinco sempre più che mia nonna abbia fatto un discorsetto ai gatti: “Dunque, adesso arrivano delle bambine. Voi dovete promettermi che le sopporterete. All’inizio sporcheranno un po’ e faranno confusione. Cercheranno di prendervi e coccolarvi. Abbiate pazienza, vi proteggerò io”.
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