Gattari da legare: Arrivederci, gattaro
Carlo Rambaldi si ispirò al suo gatto per E. T.
Giorni fa mi trovavo in Calabria, quando mi ha raggiunta la notizia della morte di Carlo Rambaldi. Sebbene io menta senza pudore sulla mia età, devo confessare che, all’uscita di E. T., andai al cinema a vederlo. Ero una bambina piccola (piccolissima!), ma ricordo che risi tanto: l’immagine dell’extraterrestre ubriaco o travestito mi fa ancora divertire.
Non ho invece ricordi della parte che avrebbe dovuto essere commovente, ma solo di quella comica, ed è meglio così: intere generazioni traumatizzate da Bambi bastano e avanzano. Qualche anno dopo la visione del film venni a sapere, da un’intervista a Rambaldi, che E. T. era ispirato al suo gatto himalayano. In realtà, io ricordavo un abissino o addirittura uno sphynx, ma recentemente ho scoperto che questo era uno dei miei tanti ricordi alterati. Nell’intervista, il premio Oscar mostrò i disegni originali, una specie di cartoncino con varie strisce che, venendo tirate mediante una linguetta, sottraevano particolari al gatto, come le orecchie, fino a lasciare quello che sarebbe stato il volto del personaggio.
I gatti hanno sempre ispirato gli artisti e, in questo caso, gli artisti-artigiani: Rambaldi non amava il computer, lavorava con le mani. Mi sembra del tutto naturale che uno dei personaggi più famosi del cinema sia debitore a un gatto: buffo, intelligente, dalle movenze scoordinate come quelle di un cucciolo ma con un dito come quello di Dio nella Cappella Sistina. Un alieno rispetto a noi, capace di cose incomprensibili e meravigliose, come quelle che stanno facendo i “miei” alieni con i panni che ho appena steso.
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