Gattari da legare: Gatti in gita
Oggi sono un po' arrabbiata con i gatti della colonia. Non proprio arrabbiata, per la verità, solo irritata come una madre che ha chiesto al figlio di rimettere in ordine la stanza venendo ignorata.
Ci sono stati lunghi e bui giorni di pioggia, e finalmente è uscito un po’ di sole: ho aperto le imposte, pronta all’assalto mattutino, e mi sono venuti incontro solo due mici, sonnacchiosi e poco propensi all’arrembaggio del divano.
Sono un maschietto e una femminuccia di un anno circa che, ignorando il significato di “colonia“, hanno eletto il mio giardino a loro esclusiva residenza. Tutti gli altri, invece, sono spariti, come spesso accade nelle giornate di bel tempo. Il maschietto ha annusato un paio di volte l’aria ed è tornato a dormire. La femminuccia, più per farmi contenta che per autentica convinzione, è corsa su un ulivo per recitare la solita scenetta del leopardo che aspetta la preda.
Questa rara vacanza, che mi permette l’ancora più rara apertura della porta finestra, non mi ha però resa felice: istintivamente uscivo con cadenza regolare per dare un’occhiata al giardino deserto. Questa sindrome di Stoccolma è una delle cose peggiori dell’essere gattari: quando sono tutti presenti, ti lamenti dell’assedio dei rapitori, quando sono in giro, ti lamenti perché ti sembra di essere la cuoca di un ristorante frequentato solo di sera.
A luglio scorso ho tristemente festeggiato un mio onomastico con una cena in giardino. Era uno dei giorni più caldi dell’anno, e non si vedeva nemmeno un felino. Ho potuto apparecchiare e rifocillare gli ospiti senza il minimo intoppo: nessun raid sul tavolo, nessuna razzia in cucina. Ma ero lì, triste e pensierosa, mentre gli altri mangiavano. Finche il sole non è tramontato del tutto e, dalla siepe, sono sbucati gatti a frotte, di corsa, che si sono catapultati tra le gambe di tutti e sulla tavola. E, mentre tutti si lamentavano, i miei festeggiamenti avevano ufficialmente inizio.
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