Gattari da legare: Che cosa c’è in un nome?
Nella Bibbia, Dio dà ad Adamo il compito di nominare gli animali, affidandogli così il dominio sulle altre creature.
Ora, se il nostro progenitore si inventa il nome “ornitorinco”, io posso benissimo chiamare un gatto “Figlioteodora” o “Seitaleequaleatuamadre”.
La necessità di dare un nome a tutti i gatti è dettata non dal bisogno di stabilire la mia signoria, del tutto illusoria, bensì per semplificare il loro dominio su di me: devo tenere il conto di quanti hanno bisogno di medicine, di una razione extra di cibo, di una nuova cuccia. È il servo che dà un nome al padrone.
Inizialmente, i nomi scelti erano carini, brevi e, soprattutto, poco ridicoli. Perdevo tempo nella loro scelta. Con l’incremento del numero di felini, scema la mia pazienza nell’assegnare nomi di Muse e divinità elleniche, e vengono tutti indicati per loro caratteristiche particolarmente evidenti. Se prima potevo avvicinarmi al micio con un elenco di nomi, letto ad alta voce nell’attesa di un gesto d’assenso del “battezzato”, adesso sono molto più sbrigativa.
Ripenso con imbarazzo alle mie critiche a chi dava nomi tipo “Nero” e “Batuffolo”, ma lo supero in assenza di fantasia. Alla fine, mi ritrovo con gatti dai nomi lunghissimi e assurdi, in parte giustificati dalla mia superstizione, che si presenta solo quando si parla di felini: se non do loro un vero nome, non stabilisco alcun primato umano su di essi, e rimarranno liberi di vivere tranquilli. Anche se lo scotto è un nome ridicolo e chilometrico. Adesso vi lascio, perché qui ha piovuto tantissimo e Zampettaposterioreclaudicante e Occhiettiperennementecisposi sono venuti a pranzare solo adesso.
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